LE INTERVISTE DI KAUFMAN:

ANTONELLA GAETA

Iniziamo a conoscere un po’ meglio Antonella Gaeta, la nostra docente che, nel weekend dal 5 al 7 ottobre al MAT di Terlizzi, ci porterà tra le pratiche, i segreti e gli strumenti della scrittura di un cortometraggio.

Quando hai deciso di diventare sceneggiatrice?

«Non c’è stata una precisa decisione, ma un momento in cui qualcuno mi ha detto che la mia scrittura aveva una capacità visiva. Anche quando racconto una storia c’è sempre chi mi dice di “vederla”. A un certo punto si è rivelato un nesso tra parola e visione. E tutto è partito».

Qual è la sceneggiatura perfetta?

«Quella che si avvicina alla perfezione è la sceneggiatura ben misurata, che mette insieme gli atti, le parti in maniera armoniosa, che non si fa sentire, che si mescola con la vita anche quando ti sta raccontando di improbabili macchine del tempo o della dimenticanza. Certe volte la sceneggiatura perfetta è come l’onda perfetta; sai che esiste, che può rivelarsi, che è possibile cavalcarla, ma anche che esiste la possibilità, molto reale, che non sarai tu a farlo».

I tuoi sceneggiatori e registi preferiti?

«I miei preferiti, spesso, rivestono sia il ruolo di regista che di sceneggiatore, e penso a Paul Schrader, Yorgos Lanthimos, Pablo Larraín, Paul Thomas Anderson, a Alejandro Alejandro González Iñárritu nel sodalizio con lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, a Paolo Sorrentino, a Matteo Garrone… Sulla mia vetta, però, ci sono Cesare Zavattini e Charlie Kaufman, solo apparentemente inconciliabili».

Come si impara a scrivere?

«Ogni forma di scrittura ha le sue regole che occorre imparare, possedere, saper applicare, per poi conquistarsi la libertà di trasgredirle».

All’ultima Mostra di Venezia, il film di Pippo Mezzapesa “Il bene mio”, che hai scritto con lui e Massimo De Angelis, è stato accolto con molto calore ed entusiasmo…

«Moltissimo. Capita una cosa molto bella quando quel che scrivi prende carne e respiro, ovvero si stacca da te e diventa ciò che gli altri ci vedono. Tu puoi allora concederti il sottile godimento di leggere quel che gli altri scrivono della tua scrittura, in un impagabile gioco di specchi».